[ARCHIVIATA]Pagine di Marina - Storia

ex Storia: il RI Trento

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    Qui non posso non ripostare l'articolo del Sarchiapone

    MADMIKE:

    Parlando, nel salottino, della nuova pubblicazione sulla MM edita da 'Storia Militare', ho citato Alpino e SPQ-5, il cd. Sarchiapone che rimane sempre un oggetto misterioso.

    Rivista Marittima pubblicò, alcuni anni fa, un articolo, che un forumista di altro forum (che ovviamente citerò in fondo, perchè se leggiamo qui queste notizie lo dobbiamo a lui) tradusse e pubblicò.

    Ve lo giro volentieri, perchè si tratta di una pagina ancora poco conosciuta ma interessante della storia della Marina Militare:

    Tra coloro che oggi hanno qualche ca¬pello grigio, molti ricordano ancora una storiella raccontata da Walter Chiari negli anni Sessanta, in cui un povero viaggiato¬re cercava disperatamente di indovinare la datrici di cui misterioso animale denomi¬nato «Sarchiapone» appartenente al vici¬no di scompartimento, tenuto dentro una strana cappelliera. Alla fine, sconfitto e infuriato, rinunciava, lasciando lo scom¬partimento libero, mentre si scopriva che il « Sarchiapone» non esisteva affatto.
    Il termine « Sarchiapone» è stato quindi assunto da tutta una generazione, come scherzoso sinonimo di mistero incomprensibile.
    Tuttavia, per chi ha speso la propria vita in Marina, questo termine ha anche una diversa connotazione, dato che indicava in gergo navale, un progetto molto segreto e molto promettente. Tutto incominciò da un'intuizione dell'allora capi-tano di fregata Calzeroni, all'epoca desti¬nato al Centro Addestramento Aeronava¬le di Taranto. In presenza di una massa metallica immersa, come appunto quella di un sommergibile, il campo magnetico
    avrebbe dovuto subire una deflessione.
    Se si fosse stati in grado di valutarla, si sarebbe potuto migliorare significativa¬mente il raggio di scoperta delle unità an¬ti-sommergibili. Il principio era già noto e sfruttato dai MAD (appunto Magnetic Anomaly Detector) degli aerei da pattu¬gliamento marittimo. Questo sistema, tuttavia (ed è una grande differenza) sa¬rebbe stato basato non sulla misurazione «passiva» del campo magnetico terrestre, ma sull'impiego di un trasmettitore radar, misurando le variazioni sul segnale rice¬vuto. In definitiva, com'è noto ai molti che navigano, la «spazzata» di un radar è spesso sufficiente a provocare lo sfarfal¬lio nei tubi al neon in plancia, grazie alla differenza di potenziale che si genera in occasione del passaggio delle onde elettromagnetiche.
    Calzeroni si basava sul fatto che in condizioni di normale umidità, in prossimità della superficie marina si trovano un gran numero di ioni liberi, il cui orienta¬mento (spin) è legato alla presenza del campo magnetico terrestre. La massa ferromagnetica di un sommergibile avrebbe provocato negli ioni un differen¬te orientamento. In presenza del passag¬gio del fronte dell'onda elettromagnetica emessa dal radar gli ioni si sarebbero orientati diversamente, per poi ritornare immediatamente dopo nella posizione precedente. Questa deviazione avrebbe assorbito energia, che sarebbe poi stata riemessa all'atto del riorientamento. Il ricevitore del radar avrebbe dovuto essere
    in grado di registrare la debolissima energia emessa in tale fase, che sarebbe stata differente nel caso che l'orientamento iniziale fosse stato quello dovuto al cam¬po magnetico terrestre oppure alla pre¬senza del sommergibile. L'idea non era del tutto nuova. Negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale i giapponesi avevano tentato di sfruttare l'esistenza di ponti radio tra le isole dell'arcipelago al¬lo scopo di scoprire il transito di navi e sommergibili attraverso i passaggi obbli¬gati. La fluttuazione del segnale legato alla variazione del campo magnetico, a causa della temporanea presenza di una massa metallica, avrebbe dovuto fungere da allerta per la difesa costiera.
    La differenza sostanziale tra il concetto giapponese e quello italiano riguardava il fatto che il sistema ideato da Calzeroni prevedeva di misurare la debolissima energia emessa dagli ioni eccitati, invece che le fluttuazioni di un segnale radio.
    Trattandosi di misurare differenze mol¬to limitate, e quindi di segnali estrema¬mente deboli, questo sistema avrebbe do¬vuto avere una potenza in trasmissione molto elevata, e avere un fascio molto stretto, in modo da poter conseguire po¬tenze molto alte nel settore d'interesse.
    L'analisi del segnali rappresentava si¬curamente la sfida maggiore, che fu af¬frontata con grande inventiva dai proget¬tisti, specie se si pensa alla realtà dell'e¬lettronica disponibile trent'anni fa.
    L'idea trovò l'appoggio dello Stato Maggiore della Marina, anche grazie alla vera e propria «campagna promozionale» del vulcanico Calzeroni. L'industria italiana venne coinvolta e fu realizzato un radar congiuntamente dalla SMA e dalla Galileo. II sistema venne battezzato SPQ-5A e nel 1973 se ne imbarcò un esemplare sull'Alpino, sistemandolo sul cielo della plancia, subito dietro e più in alto dell'antenna del radar del tiro Orion-lOX della direzione tiro prodiera. Il radar si presentava con una grande antenna a disco di circa 3 metri di diametro, e un fee¬der molto pronunciato. Il progetto era considerato estremamente segreto e solo pochi ne conoscevano i dettagli, al punto che l'SPQ-5 divenne immediatamente noto nella Squadra Navale sotto il nomi¬gnolo di «Sarchiapone», per il mistero esasperato che lo circondava.
    Qualcosa tuttavia dovette trapelare se il Jane's Fighting Ships qualche anno do¬po, nel descrivere le differenze tra Alpino e Carabiniere, indicava la presenza della grossa antenna come «MAD aerial», pur senza identificarlo con una sigla.
    Per l'Alpino incominciò allora una vita estremamente intensa, che lo vide impiegato per mesi nell'ambito di campagne di valutazione dall'Artico fino ai Caraibi. Per contro il Carabiniere, pur essendo anch'esso fortemente utilizzato (nave di nuova concezione e nuova costruzione in una Marina che andava rapidamente invecchiando) non andò mai incontro ad un simile impegno. L'SPQ-5A operava in banda X, con una rispettabile potenza di quasi 2 MW. Il fattore chiave del suo funzionamento, tuttavia, era basato sulla par¬ticolarità del metodo di doppia focalizza¬zione del fascio. Nei radar tradizionali le onde elettromagnetiche emesse dal feeder,posto al centro della parabola, vengono focalizzate in un fascio di ampiezza desiderata grazie alla specifica geometria dell’antenna (paraboloide, cosecante, inversa, ecc.) Nell’SPQ-5°, invece il fascio veniva inviato prima su di un riflettore conico, posto vicino al feeder e poi invia¬to sul disco. Il risultato era quello di ot¬tenere un fascio estremamente stretto, pressoché aghiforme, con un'apertura di soli 1° 30', eliminando virtualmente ogni lobo secondario, e ottenendo così un'elevatissima densità di potenza.
    Durante le estese campagne di valuta¬zione a cui venne sottoposto il sistema emersero però, del tutto inaspettate, altre importanti caratteristiche.
    L'SPQ-5A si dimostrò presto in grado di scoprire bersagli di superficie a distan¬ze assolutamente impensabili. Si trattava del cosiddetto «condotto radar» a cui si fa talvolta riferimento nella letteratura spe¬cializzata. In presenza di determinate condizioni (specialmente umidità elevata, dell'ordine dell' 80%-95%) si viene a formare una sorta di condotto in prossi¬mità della superficie marina, dove le on¬de elettromagnetiche viaggiano seguendo la curvatura terrestre, arrivando così ben oltre l'orizzonte. Si realizza così qualco¬sa di relativamente simile al normale fe¬nomeno di propagazione delle onde radio ad alta frequenza che «rimbalzano» tra superficie e ionosfera, coprendo lunghis¬sime distanze. Un fenomeno simile acca¬de anche per le onde ottiche, noto da se¬coli sotto il nome di «Fata Morgana», e consente, in particolari situazioni, di ve¬dere l'immagine di oggetti che si trovano molto al di là dell'orizzonte.
    Per tornare al caso della propagazione radar, questo fenomeno è utilizzato quoti¬dianamente dai sommergibili, che godo¬no comunque di un apprezzabile orizzon¬te radar (ben oltre il semplice orizzonte geometrico) anche se le loro antenne ope¬rano bassissime, quasi a contatto con la superficie. In definitiva la normale propa¬gazione sferica (dipendente dalla quarta potenza del raggio) veniva sostituita da una diversa propagazione, con un tetto verticale che consentiva di canalizzare l'emissione, riducendo enormemente l'at¬tenuazione. Si realizzava una sorta di «guida d'onda aperta» a causa delle diffe¬rente permeabilità magnetica dell'aria umida vicino alla superficie marina, e di quella più secca esistente in quota. L'al¬tezza di tale condotto è fortemente varia¬bile in funzione delle condizioni meteoro¬logiche, e oscilla abitualmente tra 5 e 30 metri. Spesso ci si riferisce a questo feno¬meno come «propagazione anomala». In realtà si tratta di una propagazione del tut¬to normale (ovvero rispondente alle leggi fisiche), ma non adeguatamente sfruttata, in assenza di adeguati strumenti.
    Fu così che l'Alpino, nel corso di alcu¬ne esercitazioni divenute leggendarie, fu in grado di scoprire gli aerei della Ken¬nedy nel momento stesso in cui decolla¬vano dalla portaerei, rimanendo a oltre 350 miglia di distanza. Dato che la mas¬sima taratura dello schermo PPI era limi¬tata a 200 miglia, si dovette ricorrere al¬l'indicatore «A/R» che arrivava a 400 miglia. In un'altra occasione L'Alpino mentre si trovava presso Ustica, fu in grado di seguire il gruppo navale «avver¬sario» in uscita da Tolone !
    Il «Sarchiapone» non era inserito nel normale sistema di difesa aerea (che non avrebbe comunque potuto gestire vettori distanti oltre 300 miglia), ma l’operatore passava i dati dei bersagli con un semplice collegamento in fonia. Un altro vantaggio operativo era legato come si è detto,all’assoluta mancanza di lobi secondari, il che rendeva estremamente difficile, se non quasi impossibile, l'intercettazione del segnale da parte dei sistemi di guerra elettronica imbar¬cati sulle altre navi. Difatti se 1'impul¬so, ancora estrema¬mente stretto nono¬stante il lungo tra¬gitto, investiva una parte della nave do¬ve non si trovavano gli intercettatori della guerra elettro¬nica, la nave “ber¬saglio” non aveva modo di sapere di essere stata inqua¬drata dal «Sarchia¬pone». La cosa era ulteriormente rafforzata dal fatto che il condotto ra¬dar si estendeva a pochi metri di quo¬ta, mentre spesso gli intercettatori della guerra elettro¬nica erano posizio¬nati sull'albero, al di sopra del condot¬to. La campagna nel Mare Artico, svolta¬si nel 1975 e quella nei Caraibi del 1976 dimostrarono la ca pacità del « Sarchiapone» di operare anche con un campo di temperature e di umidità estremamente vario, nel duplice ruolo di scoperta anti-sommergibile (quello originario), e di scoperta di superficie oltre l'orizzonte. Vennero individuati dei sommergibili immersia 50-60 metri di profondità. Per questo scopo gli operatori dovevano esaminare i dati raccolti con l'aiuto di un registratore Ampex, valutando segnali estremamente deboli (10-19 W. ovvero uu decimo di un miliardesimo di miliardesimi di Watt), a fronte di potenze di emissione di circa 2 MW. La potenza in gioco era comunque tale da «imbiancare» gli schermi delle unità vicine, oltre che, naturalmente quelli dell'Alpino.
    La US Navy, in particolare, si dimo¬strò estremamente interessata al progetto, tanto che per l'attività l'Italia ricevette in cambio un congruo aiuto da parte del programma di assistenza militare MDAP. Questa almeno era la voce (impossibile da verificare appieno) che circolava al¬l'epoca, grazie all'arrivo di due sommergibili classe « GuppyIII» (Romei e Piomarta), e un buon numero di missili Tartar e di si¬luri leggeri, che porta¬rono un po' di ossigeno alla nostra esausta Marina in attesa dell'entra¬ta in linea delle nuove costruzioni previste dal¬la «Legge Navale» (1975-1985). Il sistema, nonostante le prestazio¬ni davvero stupefacenti, non era ovviamente scevro di problemi. Il trasmettitore e il ricevitore si trovavano direttamente sull'antenna, per non dover realizzare guide d'onda lunghe, tali da trasportare una simile potenza, cosa che rendeva l'antenna stessa oltremodo pe¬sante. L'antenna era stata realizzata con asservimenti simili a quelli dei radar del tiro, anzi le Officine Galileo avevano im¬piegato i medesimi motori idraulici im¬piegati per le direzioni tiro dei cannoni da 127 mm utilizzate sul cacciatorpedi¬niere San Giorgio, dato che però pesava alcune tonnellate, presentava sensibili problemi di vibrazioni e rumorosità.
    La tecnica d'impiego del « Sarchiapo¬ne» prevedeva di effettuare una scansione di ricerca «TV», con una spazzata oriz¬zontale di 120°, un «gradino» verticale di mezzo grado, e una spazzata di ritorno di 120°. Questi movimenti provocavano preoccupanti oscillazioni sul tetto della Centrale Operativa, che non era stato cer¬to progettato e costruito per sopportate tali sollecitazioni. Il moto ondoso rende¬va la cosa ancora più critica, al punto che ogni due o tre mesi i tecnici della delle Officine Galileo dove¬vano effettuare inter¬venti di manutenzione, arrivando a sostituire gli ingranaggi e i cusci¬netti che apparivano fortemente danneggiati, ogni sette-otto mesi. L'elevatissima potenza e la frequenza del «Sar¬chiapone», inoltre, fa¬cevano sì che qualsiasi essere vivente (mari¬naio o gabbiano poco importa) fosse stato in¬vestito dallo stretto fa¬scio del radar alla distanza di uno-due km, avrebbe subito conseguenze fatali, cosa che richiedeva quindi un'estrema at¬tenzione nell'impiego del radar.
    Un altro problema sorse dall'impiego del liquido di refrigerazione della corta guida d'onda, dato che veniva utilizzato l'esafluoruro di zolfo. Questo prodotto era estremamente tossico, ma all'epoca vi era poca sensibilità sugli aspetti anti¬infortunistici, e qualcuno dei pochi e selezionati giovani sottufficiali a qui era stata affidata la manutenzione e la condotta del Sarchiapone, ebbe la sgradita sorpresa di subirne gli effetti, con l’indebolimento della dentatura. Questi uomini vivevano una situazione “romanzesca», ed erano tenuti ad osser¬vare un assoluto (quanto comprensibile) riserbo sul programma. Quando 1'Alpino si trovava in porti esteri, questi operatori potevano uscire in franchigia soltanto «sotto scorta» per evitare compromissio¬ni. Il principale problema che però dovet¬te affrontare il «Sarchiapone» riguardò la necessità di «saper interpretare» i dati che forniva. Tra gli ecogoniometristi è normale che il contatto acustico venga investigato sfrut¬tando l'esperienza del¬l'operatore e svariate tecniche di analisi del segnale, in modo da po¬terlo adeguatamente classificare. In campo radar questo non è cer¬tamente il metodo più seguito, ma i segnali del «Sarchiapone», con le incredibili portate offer¬te e, di conseguenza, la presenza di falsi contatti o contatti «non interessanti», necessitavano di dover di¬scriminare attraverso correlazioni basate sulla conoscenza della situazione tattica, sull'esperienza dell'operatore e sull'analisi del segnale.
    Per l'impiego anti-sommergibile, re¬quisito originario del «Sarchiapone», l'impercettibile deflessione del fascio ra¬dar provocata dalla massa ferrosa immer¬sa provocava spesso echi poco nitidi, a malapena distinguibili, la cui esistenza veniva analizzata ed evidenziata dalla let¬tura differita dei nastri Ampex, che dava un'immagine tri-dimensionale della zona esplorata. Si trattava di un'attività estre¬mamente complessa, a maggior ragione quando si consideri la tecnologia disponi¬bile all'epoca. L'SPQ-5 dell'Alpino ven¬ne impiegato anche nel vano tentativo di scoprire la posizione del relitto del DC-9 inabissatosi presso Ustica (anno1980).
    A partire dal 1980, e fino agli inizi degli, anni Novanta, il «Sarchiapone» venne imbarcato anche sulla nave da esperienze Quarto, nella variante SPQ-SB, che presentava il ricevitore montato in posizione leggermente sollevata. L'antenna dell'SPQ-SB presentava anche una fascia per evitare i co¬siddetti « spill-over», ovvero i lobi secondari, che avrebbero potuto influenzare negativa¬mente il sensibile rice¬vitore. Il Quarto dispo¬neva anche di Un calco¬latore HP 9845 dedicato al calcolo di previsione delle portate con un software sviluppato dal Naval Ocean Sy¬stems Center (NOSC) San Diego per la US Navy e denominato IREPS (Integrated Refractive Effects Prediction System). II sistema comprendeva anche una centralina meteo con sensori remoti. Il tutto era stato integrato e adattato dalla SMA, per poter fornire l’indispensabile sostegno predittivo al Sarchiapone.
    Anche il Quarto svolse un’intensa campagna di prove, mentre l’Alpino ritornava appieno della Squadra Navale (l’SPQ-5° venne definitivamente sbarcato solo nel 1987). In un secondo tempo sul Quarto venne installata un’altra versione, SPQ-4 affettuosamente chiamata “Bastardone”, dato che era stata realizzata ac¬coppiando l'antenna del radar del tiro Orion IOX, la guida d'onda e i motori di brandeggio del SPS-702, il ricevitore del¬l'SPQ-5, e la consolle del SPQ-2. Il «Ba¬stardone» o BST-1 venne sistemato nell'area prodiera, approfittando delle di¬mensioni e dei pesi molto più contenuti.
    La campagna di prove diede risultati interessanti, anche se ovviamente inferio¬ri a quelli del «Sarchiapone» originario, a causa della minor potenza di picco (180 kW) e della minor sensibilità in ricezione (95 dB, contro 112 dB del SPQ-5A, o 120 dB del SPQ-5B).
    La principale applicazione a cui si pen¬sò, fu quella di sfruttare la portata oltre l'orizzonte per consentire di ingaggiare navi avversarie con i missili «Teseo», senza necessariamente dover sfruttare la presenza di un elicottero. Questo impiego avrebbe creato ulteriori vantaggi operati¬vi, grazie alla particolare discrezione del radar, che non avrebbe messo in allarme gli avversari, consentendo così al missile «Teseo» di arrivare sul bersaglio pratica¬mente senza alcun preavviso. Sulla prora del Quarto venne anche sperimentata un'altra variante del «Bastardone», deno¬minata BST-2, con un'antenna a scansio¬ne elettronica, simile (in scala ridotta) a quella del radar tridimensionale SPS-39, ma si rivelò un parziale insuccesso. Sul Quarto era stato installato anche un nor¬male radar SPS-702 (o SPQ-2) il cui se¬gnale poteva essere smistato verso l'antenna del «Bastardone» o verso la norma¬le antenna, in modo da confrontare i risul¬tati nelle diverse condizioni d'impiego. È interessante valutare la tabella con le portate massime (espresse in miglia marine) ottenute dai diversi radar. (Vds. Tabella in alto). Durante un'esperienza l'SPQ-5B del Quarto fu invece in grado di seguire l'Audace dall'uscita delle ostruzioni alla Spezia fino a Trapani (!).
    Da notare che gli addetti alla guerra elettronica del caccia, pur informati dell'attività, e a conoscenza della frequenza del «Sarchiapone», persero il contatto al¬l'altezza dell'Isola d'Elba. Difatti l'effetto di condotto superficiale (talvolta definito anche «effetto pellicolare» per la ridotta dimensione del condotto) faceva sì che l'emissione del «Sarchiapone» battesse lo scafo, mentre le antenne della guerra elet¬tronica si trovavano sul cielo della plan¬cia. La disponibilità di operatori altamente motivati, ben addestrati, e un crescente data-base, consentirono anche di arrivare a determinare l'esatto nome dell'unità scoperta dal «Sarchiapone». Il radar infat¬ti emetteva delle onde di forma perfetta¬mente quadra, con un fronte d'onda verti¬cale, che incontravano le migliaia di micro-dipoli di cui era fisicamente composta la «nave-bersaglio». Ogni singola nave differisce da un'altra, sia pur gemella, per tutte quelle impercettibili differenze di al¬lestimento, quali potrebbero essere il posi¬zionamento di singole draglie, ecc. La ri¬emissione o risonanza dell'energia elettro-nica si componeva così in uno spettro dove si potevano apprezzare specifici picchi,corrispondenti a date frequenze, tipiche di ciascuna unità. Si tratta di un fenomeno noto nel campo dell'acustica, dove un dia¬pason investito da un «suono bianco» risponde entrando in risonanza ed emettendo la propria tonalità.
    Verso il 1978 il «Sarchiapone» venne anche destinato ad alcune stazioni radar costiere, nell'ambito di un ambizioso progetto che avrebbe dovuto permettere di tenere sotto controllo gran parte del Mediterraneo Centrale.
    La prima e forse più importante instal¬lazione fu realizzata vicino alla Spezia, in località Castellana. Il personale destinato a questo programma utilizzava un enig¬matico recapito postale: « Maristat UPS Castellana», dove UPS stava per Ufficio Programmi Speciali.
    A Calzeroni, nel frattempo promosso contrammiraglio, venne affiancato il co¬mandante Paolo Compiani, che diede nuovo impulso al programma.
    Un altro impianto, installato a Piave Vecchia (Venezia) offriva la copertura dell'Adriatico fino a Foggia, consentendo di distinguere addirittura Ai aerei d'adde¬stramento che decollavano dall'aeroporto militare della città pugliese. Questo ven¬ne poi trasferito in Sicilia, a Capo Passe¬ro, in località Cozzo Spadaro, da dove poteva agevolmente controllare il traffico che si svolgeva lungo le coste libiche.
    Un terzo impianto, infine, venne posi¬zionato a Taranto San Vito, presso il Cen¬tro di Addestramento Aeronavale.
    In pratica la copertura assicurata dalle stazioni costiere, che trasmettevano i dati raccolti ad un centro di coordinamento presso Roma (Stazione 08), era tale da permettere il controllo dell'intera area d' interesse nazionale.
    Nell'ambito delle valutazioni prelimi¬nari la Marina fu confortata anche dai ri¬sultati di un curioso esperimento. Nel complesso dell'Accademia Navale venne installata un'antenna direzionale alimen¬tata da un trasmettitore a bassissima po¬tenza (2 mW, ricavato da un normale an¬tifurto per auto) e posizionata a sei metri di quota sul livello del mare. L'antenna parabolica ricevente venne posizionata a Genova, a circa 100 miglia di distanza. II sistema funzionò e`re;~iamente per sva¬riate settimane, nonostante le bassissime potenze in gioco e, soprattutto, i circuiti realizzati in modo arti,(ianale. I risultati vennero presentati nell'ambito di un con¬gresso dell'AGARD. Tuttavia furono proprio le installazioni costiere, e in par¬ticolare quella della Castellana, a decreta¬re la fine del «Sarchiapone».
    Lo sfruttamento del condotto radar era infatti ottimale quando l'antenna si trova¬va molto bassa sul mare, appunto all'inter¬no del condotto. Soluzioni diverse rende¬vano molto più aleatorio il conseguimento delle condizioni necessarie a beneficiare appieno della particolare tipologia di pro¬pagazione. La stazione della Castellana in¬vece si trova sulla sommità di una costa alta, a circa 500 metri di quota, cosa che consente un'ampia visibilità, ideale sia per i turisti incantati dal bellissimo panorama ligure, che per i radar destinati a sorveglia¬re le rotte d'accesso al Golfo della Spezia, ma assolutamente inadatta a sfruttare con continuità l'effetto pellicolare.
    Si trattava, per usare un paragone di facile comprensione, dello stesso effetto per cui una nave di superficie non riesce a battere con il suo sonar a scafo un battello che navighi sotto lo «strato», senza ricorrere al posizionamento del VDS ad una quota idonea.
    In alcune (rare) occasioni la Castellana ottenne eccellenti risultati, che però si al¬ternarono a numerosi momenti di grande insoddisfazione. Invece che insistere con lo studio per lo sfruttamento del «condot¬to radar» si preferì orientare la valutazio¬ne alla scoperta antisommergibile, che però, specie per le condizioni dell'istalla¬zione, diede risultati poco coerenti. Per tale impiego era necessaria un'enorme potenza, che poteva essere ottenuta sol¬tanto grazie alla propagazione nel con¬dotto, venendo invece eccessivamente «diluita» con la propagazione sferica.
    Questa discontinuità, unitamente al tradizionale «spirito conservatore» tipico di tutte le Marine, portò a ridurre gli in¬vestimenti e, in un secondo tempo, verso il 1986-'87 ad abbandonare del tutto la sperimentazione.Torniamo alla metà degli anni Settanta. I risultati ottenuti dall'Alpino furono tali da convincere lo Stato Maggiore della Marina a prevederne l'imbarco anche su altre unità. Fu così che i cacciatorpediniere Audace e Ardito vennero modificati durante i lavori di fine-garanzia, e venne creata una struttura sul cielo della plancia destinata a sostenere l'antenna dell'SPQ-5. Con la «fame di spazio» caratteristica delle unità navali, tuttavia il cosiddetto «Locale apparati SPQ-5» (come recitava la targhetta sulla porta) venne comunque destinato ad altri scopi, in attesa di un'in¬stallazione che non sarebbe mai avvenu¬ta. In un secondo tempo la postazione venne impiegata per accogliere un ingan¬natore della guerra elettronica, mentre con l'effettuazione del cosiddetto «am¬modernamento di mezza vita», il suo po¬sto venne preso dal radar di scoperta ae¬ronavale SPS-774. L'Ardito, tuttavia, im¬barcò per qualche tempo 1'antenna del « Sarchiapone», anche se con uno scopo completamente diverso da quello per cui era stata originariamente progettata. Gra¬zie agli elevati guadagni che consentiva, era stato deciso, infatti, di impiegarla nel¬I'ambito del progetto «Sirio», come ap¬parato ricevente in banda UHF per le te¬lecomunicazioni satellitari. Fu così che 1'antenna del «Sarchiapone» fece il giro del mondo negli anni 1979-'80.
    Una nuova versione del « Sarchiapone» venne chiamata Co.Ra. (Condotto Radar, o anche scherzosamente Compiani Radar, visto I'impulso dato da questi al pro¬gramma) e ne fu prevista l'installazione sui nuovi DDG (inizialmente conosciuti come «Super-Audace», poi come classe «Animoso» e infine con l'attuale nome di «De La Penne»). I primi disegni rappre¬sentavano un radar a scomparsa alloggia¬to a prora estrema, in modo da poter sfruttare appieno l'effetto pellicolare, le cui sembianze ricordavano abbastanza da vicino l'SPQ-4 sperimentato sul Quarto. In un secondo tempo questa installazione venne sostituita da due piccole antenne poste in prossimità delle ali di plancia (appunto i cosiddetti radar Co.Ra.).
    Tuttavia anche i DDG vennero poi co¬struiti senza la presenza di questi apparati.
    Nel periodo 1986-1988 il Sagittario sperimentò un'altra versione del Co.Ra. con un'antenna fortemente direzionale realizzata dalla SMA e posta sul cielo delle plancia. La modalità operativa pre¬vedeva di effettuare solo una o due spaz¬zate, in modo da evitare eventuali inter¬cettazioni da parte dei sistemi di guerra elettronica avversari. L'operatore avrebbe poi dovuto effettuare in un secondo tem¬po un'indagine, analizzando il segnale e correlando i dati ottenuti, cosa che richiedeva una notevole esperienza, assolu¬tamente non comu¬ne. Come trasmetti¬tore era stato im¬piegato quello del SPS-702, che dove¬va indirizzare la propria emissione verso l'antenna del Co.Ra. o verso quella del normale appa¬rato radar, in funzione delle esigenze.
    Esistevano tuttavia alcune limitazioni in¬trinseche al fatto che la PRF non sarebbe stata ottimizzata per il Co.Ra., ma sareb¬be rimasta quella del normale radar.
    Il sistema Co.Ra. venne successiva¬mente adottato dalle quattro fregate classe «Lupo» ed era facilmente identi¬ficabile per la presenza di un vistoso ra¬dome semisferico di color bianco sul cielo della plancia. Il radome era essen¬ziale. Difatti l'antenna, di circa 2 metri, era sta realizzata con materiali molto sottili, in modo da mantenere i pesi leg¬seri e da ridurre le inerzie in gioco. Una simile struttura, tuttavia, non avrebbe potuto resistere alle sollecitazioni del vento, e dovette quindi essere racchiusa da una cupola. Questo radome non aveva uno spessore costante, in modo di as¬sicurare la medesima impedenza anche sotto rollio, cosa fondamentale viste le prestazioni estreme che erano richieste. Lo scopo principale del Co.Ra. era di assicurare la designazione dei bersagli oltre l'orizzonte per i missili Teseo, per¬mettendo inoltre la teleguida TG2 senza dover necessariamente impiegare l'eli¬cottero, con tutti i rischi connessi.
    II Co.Ra, anche noto come SPS-702A, tuttavia venne penalizzato dalla scarsa capacità di prevedere le portate del siste¬ma. Era stato previsto un sistema piutto¬sto complesso, denominato Pro.Co.Ra., che richiedeva di lanciare un pallone sonda per avere il profilo temperatura/umi¬dità al variare della quota, a cui aggiun¬gere il valore ditemperatura del¬l'acqua di mare, edi conseguenza determinare la permeabilità elettro¬magnetica. Indiret¬tamente queste condizioni vengono valutate anche per i radar «normali»quando, in presenza di nuvole (e, di conseguenza, di una differente di¬stribuzione di tem¬perature dovuta al¬l'ombra da esse proiettata) si mani¬festa un numero maggiore di falsi contatti (i cosiddetti « angels»), dovuti alla riflessione ver¬so la sorgente diuna minima energia per la variazione di impedenza incontrata dal fronte d'onda (cosiddetta «legge di Gordon» ). I risultati, tuttavia, furono piut¬tosto insoddisfacenti e, soprattutto, mancavano di affidabilità, dato che apparente¬mente non si riusciva a determinare con sufficiente affidabilità se vi fossero o me¬no le condizioni per la propagazione a
    condotto superficiale. Mentre le fregate classe «Lupo» sono state ritirate dal servizio, in attesa di essere cedute all'estero, i complessi Co.Ra. sono stati sbarcati e andranno ad integrare la nuova rete radar costiera.


    La Marina Militare, tuttavia, non è stata l'unica a perseguire un simile program¬ma. La Marina Sovietica fu quella che tentò macgiormente di sfruttare il feno¬meno del condotto radar superficiale. i sommergibili lanciamissili delle classi « Echo-II» e «Juliet» erano equipaggiati con missili antinave «SS-N-3A Shad¬dock» (P-35 Progress, secondo la deno¬minazione sovietica) e «SS-N-l2 Sand¬box» (P-500 Bazalt) a lunga portata (ri¬spettivamente 460 e 550 km). Questi mis¬sili supersonici dovevano scambiare informazioni con la piattaforma di lancio, che nel frattempo doveva rimanere emer¬sa. Il controllo era assicurato da un radar a scomparsa Front Door/Front Piece. Le modalità d'impiego di questo radar erano piuttosto simili a quelle del Co.Ra. e la li¬mitata altezza della vela del sommergibile comportava necessariamente il posizionamento del radar medesimo nel condot¬to di propagazione superficiale.
    Questa scelta era ancora più evidente nel caso degli incrociatori porta-aeromo¬bili della classe «Kiev». A1 fine di con¬trollare i missili «SS-N-12 Sandbox», queste grandi unità navali utilizzavano una variante dello stesso radar Front Door/Front Piece (anche nota col nome di Trap Door), con l'antenna a scomparsa situata in un apposito spazio a prora estrema. Se per i sommergibili poteva sussistere il dubbio, essendoci delle limi¬
    tazioni intrinseche nella struttura della vela, per i grandi incrociatori della classe «Kiev» non potevano esserci altre inter¬pretazioni: l'antenna a scomparsa del ra¬dar di guida Trap Door era stata sicura¬mente realizzata in posizione tale da con¬sentire di sfruttare la propagazione del condotto radar superficiale.


    Una nota interessante può anche derivarre dall'analisi del sistema di difesa costie¬ra che era stato proposto all'Iraq verso la metà degli anni Ottanta. In quegli anni 1'Occidente considerava 1'Iraq come un naturale baluardo contro 1'inteoralismo islamico dell'Iran e pertanto forniva gene¬rosamente armamenti e supporto politico a Saddam Hussein. In questo scenario.
    condiviso da tutto I'Occidente, L'Oto Melara presentò all'Iraq uno studio per un sistema di difesa costiera integrato. Tra gli apparati proposti vi erano anche dei radar mobili concettualmente simili al Co.Ra. che avrebbero dovuto consentire alle bat¬terie semoventi di missili Otomat di in¬-a-giare i bersagli al di là dell'orizzonte. senza dover necessariamente utilizzare aerei o elicotteri che avrebbero corso il ri¬schio di essere abbattuti dalla caccia av¬versaria. Poi com'è noto arrivò 1'embar¬Qo e il progetto svanì. Con il senno di poi non si può che esserne lieti. In caso con¬trario le forze navali della Coalizione avrebbero dovuto affrontare una minaccia molto seria durante la prima (1991) e la seconda (2003) Guerra del Golfo.


    Oggi Stati Uniti, Gran Bretagna, Cana¬da e Australia hanno in fase di implemen¬tazione reti radar costiere con copertureoltre l'orizzonte. Si basano su tecnologie completamente diverse da quelle del «Sarchiapone», difatti sono radar in ban¬da HF (in grado di sfruttare la riflessione della ionosfera), con un parco di antenne distribuito molto lungo. Si tratta dell'O¬verseer dell'Alenia Mai-coni Systems, dei Jindalee Operational Network della Lockheed Martin e del SWR-503 della Raytheon. Queste soluzioni permettono di sorvegliare aree molto distanti, mantenen¬do fattori di discriminazione adeguati per poter distinguere i singoli bersagli. o per poter apprezzare, come nel caso del radar australiano Jindalee, i velivoli in fase di decollo e atterraggio sull'aeroporto di Dili (Timor Est), nonostante la distanza.
    L’ esperienza del «Sarchiapone» è stata per molti versi assolutamcntc unica e irri¬petibile. È stata una sfida tecnologica che la Marina Militare ha affrontato, ottenen¬do risultati sbalorditivi. O-i, in tempi di tecnologie avanzate, ma anche di elevate <nrividità formali». non sarebbe più pro¬babilmcnte possibile ripetere una simile iniziativa con le risorse disponibili.
    II coraggio e l'inventiva di due ufficia¬li di Marina, l’Ammiraglio Calzeroni e l’Ammiraglio Compiani, hanno larga¬mente supplito alle indubbie limitazioni economiche del Paese.
    Tra coloro che hanno avuto a che fare con il «Sarchiapone» e i suoi numerosi derivati, molti sostengono che si trattasse di un progetto incredibilmente avanzato, con prestazioni sorprendenti, ancora oggi insuperabili. Solitamente questi attribui¬scono la fine del programma ad incom¬prensioni, relazioni interpersonali, e a in¬convenienti tecnici facilmente superabili, ma non superati.
    Altri ancora parlano invece di un siste¬ma decisamente innovativo, ma tecnica¬mente inaffidabile al punto da risultare scarsamente utilizzabile. Sicuramente la necessità di disporre di operatori estrema¬mente ben addestrati per questo specifico apparato ha costituito un freno al suo nor¬male impiego da parte di unità della Squa¬dra. È probabilmente impossibile dare un giudizio incontrovertibile. Ormai resta so¬lo il ricordo di una vera e propria epopea che ha coinvolto un minuscolo segmento della nostra Marina in tempi così lontani da poterne ormai parlare serenamente.
    MASSIMO ANNATI


    Massimo Annati è ovviamente l'estensore dell'articolo, ma un grazie va a AKA XTGOLD che ha pubblicato la cosa, qui:

    www.betasom.it/forum/index.php?showtopic=23622

    GIBE


    Tratto da Storia Militare - La Maria Italiana 1945-2015

    Sarchiapone sul Quarto



    Edited by Rick FD - 16/11/2014, 12:49
     
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  2. von seeckt
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    CITAZIONE
    Il mio invito era sincero .. io purtroppo (o per fortuna) fino al liceo ho studiato in Francia .. sulla storia patria non sono molto "ferrato" ..

    Posto qui la mia risposta al sig. Relop, in quanto thread più appropriato a sostenere un eventuale dibattito (che peraltro abbiamo già fatto una mezza dozzina di volte...) sulla regia marina nella II GM...

    La mia opinione è che, semplicemente, l'affermazione
    "la questione era etica, non tattica. Di conseguenza, nel corso di tutto il conflitto, ogni volta che si arrivò a uno scontro, non furono mai le unità di superficie italiane a ritirarsi per prime, qualunque fosse il rapporto di forze"
    non corrisponde alla verità storica: la regia tenne, per tutto il conflitto un atteggiamento estremamente riflessivo (io direi "rinunciatario", ma poi il sig. Rick si arrabbia e ricominciamo con la solfa dei convogli...), caratterizzandosi per una scarsa aggressività nei confronti del nemico anche quando eravamo in superiorità, figurarsi quando eravamo inferiori di numero e potenza...
    Per tutta la guerra il must è stato "bisogna salvare le corazzate anche a costo di mandare al macello tutto il resto", e così è stato. Si scelga una qualsiasi battaglia navale della II GM che non sia uno scontro totalmente secondario e mi si dica se quella frase vi può trovare giustificazione.

    Il perchè è stato tenuto un simile atteggiamento è ancora questione ampiamente dibattuta, io credo sia stato un tremendo errore, mentre altri credono sia stata la giusta condotta. Così come io credo che la Hocseeflotte tra la fine del 1914 e l'inizio del 1915 avrebbe dovuto scendere in mare in forze e tentare la sorte per ribaltare la situazione, e altri credono di no.
    Ma che le cose siano andate così, sinceramente, mi pare che non sia rimasto più nessuno a negarlo, salvo chi ha scritto quell'articolo.

    Tutto qui.
     
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    veramente io, esclusa Punta Stilo che però fu solo a luglio 1940, non mi ricordo di casi in cui le navi italiane si ritirassero per prime quando in vista del nemico.

    A Capo Spartivento fu sicuramente per primo Sommerville a sganciarsi, dopo il secondo bombardamento di Genova non ci fu nessun contatto, e se ricordo bene negli scontri successivi diurni furono sempre gli inglesi a sganciarsi mentre in quelli notturni purtroppo le prendemmo sempre sonoramente.

    O ricordo male?

    attenzione a distinguere tra realtà e propaganda anglorepubblichina... :fischiet:
     
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  4. Relop
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    Ringrazio entrambi per i vostri competenti pareri.
    Gli unici libri, letti tantissimi anni fa, sulla R.M. nella II GM sono stati "Navi e Poltrone" e "Settembre Nero" ambedue di Trizzino.
    Dopodicchè ho deciso di soprassedere, intenzionalmente, ritenendo (a torto o a ragione) che quella non sarebbe mai stata "la mia Marina" (quella del mio cuore per intenderci). Considerate le mie attitudini e la passione per il mare ho subìto non poche pressioni familiari tendenti a farmi entrare in MN. Poi in definitiva ho scelto di entrare nella "mia Marina" con i sottogradi cremisi - quella di Benedetto Brin e di Teseo Tesei - e non me ne sono mai pentito.
     
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    Aspetto ancora che Herr VS mi dimostri che alla Regia Marina conveniva nel 1940 cercare una kassen kantai con la Mediterranean Fleet.

    Se avessimo vinto al più avremmo preso Malta,che tanto i rifornimenti per l'Egitto al 99% facevano il giro di Capo Buona Speranza, e comunque RN aveva molte altre e più nuove corazzate a disposizione. Se avessimo perso avremmo perso l'Africa nel giro di un mese, tutti gli uomini là sarebbero stati fatti prigionieri e la Sicilia sarebbe stata esposta ad una invasione con 3 anni d'anticipo.

    Sig Relop questa è una lettura obbligatoria: http://www.librimondadori.it/libri/la-guer...rgio-giorgerini
     
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    persa l'occasione di Punta Stilo, che fu affrontata da Campioni si con l'idea di provare a far fuori la Home Fleet ma mettendo in campo solo le due vecchie Cavour , ma comprendo la prudenza nel gettare nella Battaglia contro la invitta RN le due corazzate ancora in allestimento...

    ...fino alla Taranto Night non mi risulta che ci siano state occasioni per una "kassen kantai".

    Senza quei maledetti siluri con acciarino di prossimità, quelli degli Swordfish a Taranto intendo, ci sarebbe stato con molta probabilità uno sbarco italiano a Corfù e nelle altre isole Ionie e i britannici avrebbero avuto l'occasione di giocarsi in mare i loro destini, ma secondo me di fronte alle sei corazzate italiane le loro sarebbero restate rintanate ad Alessandria e comunque ben lontane dalle nostre, magari ottenendo qualche risultato, stile attacco alla Bismark, usando gli Swordfish basati a terra o lanciati da portaerei a distanza di sicurezza.

    Insomma per lo scontro risolutivo in mare occorre essere in due mi sembra...
     
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  7. von seeckt
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    Non mi risulta che la RN avesse "molte altre e più nuove" corazzate... Molte altre si, più nuove proprio no: di nuovo la RN aveva solo la King George V, e prossima ad entrare in servizio la Prince of Wales, di "più nuovo" ma comunque vecchio le due Nelson... Il resto, era tutta roba della I GM.
    Bastò la Bismarck a rischiare di mandare tutto a carte quarant'otto, stravolgendo i rapporti di forze. Se anche l'Italia avesse fatto la sua parte, anzichè star ferma ad aspettare l'inevitabile, mandare in crisi la RN sarebbe stato tutt'altro che impossibile.

    Di un progettato sbarco a Corfù o altrove, invece, non ho mai proprio sentito parlare, sinceramente.

    E mi pare che si continui a dimenticare che la guerra l'avevamo iniziata NOI, non LORO. Eravamo NOI a dover cercare di chiudere la partita, non loro. E infatti, stando fermi facemmo la fine del tonno.

    Quanto eravamo lontani dal Raederiano

    “Meine Herren, wir haben keine Wahl. Voller Einsatz. Mit Anstand Sterben!”

    (“Signori, non abbiamo scelta. Impegno totale. Morite con dignità!”)
     
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  8. Relop
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    CITAZIONE (Rick FD @ 14/1/2015, 23:23) 
    .......
    Sig Relop questa è una lettura obbligatoria: www.librimondadori.it/libri/la-guer...rgio-giorgerini

    GRAZIE: non essendo in Italia ho avuto la fortuna di trovare una copia del libro presso l'Istituto di Cultura (sez. dell'Ambasciata) di Tunisi.
    Al rientro spero di poterlo acquistare.
    Grazie ancora
     
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    CITAZIONE (von seeckt @ 15/1/2015, 09:30) 
    Non mi risulta che la RN avesse "molte altre e più nuove" corazzate... Molte altre si, più nuove proprio no: di nuovo la RN aveva solo la King George V, e prossima ad entrare in servizio la Prince of Wales, di "più nuovo" ma comunque vecchio le due Nelson... Il resto, era tutta roba della I GM.
    Bastò la Bismarck a rischiare di mandare tutto a carte quarant'otto, stravolgendo i rapporti di forze. Se anche l'Italia avesse fatto la sua parte, anzichè star ferma ad aspettare l'inevitabile, mandare in crisi la RN sarebbe stato tutt'altro che impossibile.

    Di un progettato sbarco a Corfù o altrove, invece, non ho mai proprio sentito parlare, sinceramente.

    E mi pare che si continui a dimenticare che la guerra l'avevamo iniziata NOI, non LORO. Eravamo NOI a dover cercare di chiudere la partita, non loro. E infatti, stando fermi facemmo la fine del tonno.

    Quanto eravamo lontani dal Raederiano

    “Meine Herren, wir haben keine Wahl. Voller Einsatz. Mit Anstand Sterben!”

    (“Signori, non abbiamo scelta. Impegno totale. Morite con dignità!”)

    OK , Cernuschi mode on...

    allo scoppio della guerra noi avevamo in costruzione 4 nuove corazzate, la RN sei. Se confrontiamo le corazzate in servizio al 10 giugno 1940 noi ne avevamo due più due in rimodernamento, loro ne avevano 13.

    La flotta italiana non stette mai ferma, se non arrivati al 1943 quando arrivati gli americani aveva mezzo mondo contro di lei.

    Il piano di sbarco a Corfù è ben noto e trattato da ogni testo serio che parla della guerra alla Grecia. Previsto a inizio novembre fu rinviato per il cattivo tempo. A metà novembre, ahinoi, la flotta da battaglia italiana non c'era praticamente più.

    La guerra l'abbiamo iniziata noi, doppio ahinoi, o meglio il nostro Duce. Che era certo che sarebbe durata poche settimane e ci sarebbe costata qualche migliaio di morti. Se avesse pensato che aveva senso pianificare la caccia alla flotta britannica e l'occupazione dell'impero britannico...non l'avrebbe mai e poi mai iniziata.

    Persino Hitler era convinto che la Gran Bretagna si sarebbe presto arresa. Quando la battaglia aerea d'Inghilterra non portò a nulla semplicemente non aveva un piano B.

    Che ci resta? Raeder? Vogliamo parlare della Tirpitz? O della KM nella prima guerra mondiale?

    :;-):
     
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    CITAZIONE (pilotadelladomenica @ 15/1/2015, 21:34) 
    La flotta italiana non stette mai ferma, se non arrivati al 1943 quando arrivati gli americani aveva mezzo mondo contro di lei.

    Non è che la flotta italiana stette mai ferma, ma un conto è l'azione tattica che svolse, un conto quella strategica ( senza impelagarsi in ancestrali teorie degli effetti della tattica sulla strategia).
    La struttura di comando italiana non era assolutamente comparabile a quella britannica, vedi superaereo e supermarina. Il concetto di aviazione aeronavale inesistente, e non mi riferisco solo all'aviazione imbarcata che è cosa diversa.
    L'atteggiamento cauto, non determinato, soprattutto nei primi mesi del conflitto, è stato importante tanto quanto le forze alleate soverchianti dal '43 in poi.
     
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  11. von seeckt
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    CITAZIONE (pilotadelladomenica @ 15/1/2015, 21:34) 
    OK , Cernuschi mode on...

    allo scoppio della guerra noi avevamo in costruzione 4 nuove corazzate, la RN sei. Se confrontiamo le corazzate in servizio al 10 giugno 1940 noi ne avevamo due più due in rimodernamento, loro ne avevano 13.

    La flotta italiana non stette mai ferma, se non arrivati al 1943 quando arrivati gli americani aveva mezzo mondo contro di lei.

    Il piano di sbarco a Corfù è ben noto e trattato da ogni testo serio che parla della guerra alla Grecia. Previsto a inizio novembre fu rinviato per il cattivo tempo. A metà novembre, ahinoi, la flotta da battaglia italiana non c'era praticamente più.

    La guerra l'abbiamo iniziata noi, doppio ahinoi, o meglio il nostro Duce. Che era certo che sarebbe durata poche settimane e ci sarebbe costata qualche migliaio di morti. Se avesse pensato che aveva senso pianificare la caccia alla flotta britannica e l'occupazione dell'impero britannico...non l'avrebbe mai e poi mai iniziata.

    Persino Hitler era convinto che la Gran Bretagna si sarebbe presto arresa. Quando la battaglia aerea d'Inghilterra non portò a nulla semplicemente non aveva un piano B.

    Che ci resta? Raeder? Vogliamo parlare della Tirpitz? O della KM nella prima guerra mondiale?

    :;-):

    Beh, le corazzate KGV in costruzione erano 5, non sei, mentre l'asse ne aveva in costruzione 6, se ci contiamo la Bismy e laTirpy (eh eh eh...). Non si può poi dimenticare che i tedeschi avevano in giro i due Scharnhorst, e che i britannici dovevano presidiare i mari del mondo e scortare i convogli, cosa che noi non dovevamo fare...

    Mi pare ci si rifiuti di guardare al fatto che non è storia di 14 (unità britanniche all'inizio della II GM meno la Royal Oak) contro 9 (unità dell'asse poco dopo l'ingresso in guerra dell'Italia) o 16 (le unità da battaglia Britanniche dopo la fine della Royal Oak e l'ingresso in servizio di KGV e POW) contro 10 (le unità dell'Asse)... Conta quante di esse erano moderne, quali erano le loro caratteristiche e cosa potevano fare...
    Per sconfiggere l'Inghilterra non serviva colarle a picco tutte e 15, bastava ridurne la disponibilità ad un livello tale da non poter far fronte alle pressioni congiunte It e Ge... Sempre che vi fosse, beninteso, una pressione It...

    Saremo pure entrati in guerra convinti di non dover combattere, ma quando ormai c'eravamo, bisognava tentare il tutto per tutto per cercare di ribaltare una situazione che, altrimenti, era evidente dove ci avrebbe portato: da qui, la mia citazione di Raeder. Nemmeno lui la voleva, la guerra, ed era infinitamente meno pronto di noi sul mare, ma almeno fece tutto ciò che era in suo potere fare, e anche di più.
     
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    la pressione IT c'è stata c'è stata...lessi tempo fa che il crollo dell'impero britannico fu dovuto per una parte non piccola proprio all'entrata in guerra dell'Italia. Finchè la guerra era solo contro la Germania era compatibile con il presidio degli interessi britannici nel mondo, anche se poi durando troppo portò pure quella all'indebitamento drammatico nei confronti degli americani che aspettavano solo quello...

    ma per badare a noi la GB dovette sguarnire l'oriente e nel 1941 i giapponesi se ne approfittarono arrivando fino alle porte dell'India.

    Con l'effetto valanga che portà all'indipendenza indiana nel 1947 e di quasi tutto il resto dell'impero dieci anni dopo.

    E gli inglesi ne erano coscienti, quelli che comandavano e non credevano alla loro stessa propaganda, per questo erano discretamente arrabbiati con noi anche dopo l'8 settembre e se non fosse stato per gli americani ci avrebbero smembrato stile Polonia nel XVIII secolo...

    Sulla cinque e non sei nuove corazzate in costruzione per la RN al 1940 ha ragione lei, ammetto il grave errore! La sesta, la HMS Vanguard, fu impostata solo nel 1941...

     
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  13. von seeckt
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    Beh... se gli inglesi avessero presidiato meglio l'Oriente, invece che noi, sarebbe stato decisamente meglio per i tedeschi, visto che tutto quel che gli inglesi avessero avuto in quel teatro sarebbe stato colato a picco dai Giap pochi giorni dopo l'inizio delle operazioni, e che quel che giace in fondo al mare non può uscire dal mediterraneo ogniqualvolta fa comodo, tanto gli italiani ad approfittarne non ci pensano proprio...

    Quanto alle corazzate, ci tengo a specificare che non facevo il pierino: le KGV furono effettivamente solo 5, e la Vanguard me la ero proprio dimenticata!!! :fischiet:
     
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    beh.non ci sono dubbi che nei primi mesi della loro guerra la marina giapponese passo' da un successo all'altro e forse avrebbe bastonato una flotta di Ark Royal e Illustrious con Albacore e Fulmar scortata da Warspite vari, in aggiunta alla flotta Z storica.

    Anche se in verità va detto che da Midway in poi per tre anni furono i giapponesi ad essere bastonati sul mare quanto e piú degli italiani .

    Ma secondo me il punto chiave di questa teoria è che con la RN e RAF e le divisioni indiane in forze all'est AGGIUNTE a USN e US Army i giapponesi si sarebbero arresi ai diktat di Roosevelt e non ci sarebbe stata proprio guerra, ergo i gentleman inglesi avrebbero continuato a prendersi in pace il te a Singapore nel 1942 ed a Calcutta nel 1947.

    In ciò la nostra grande colpa sarebbe di non esserci fatti affondare la flotta a Punta Stilo, come invece avevano diligentemente fatto i cugini francesi a Mers el Kebir qualche giorno prima, e quindi aver proterviamente continuato ad infastidire i gentlemen dell'ammiragliato e non solo a Londra e in tutto il medio oriente.
    Poi la colpa suprema fu di aver fatto arrivare i "veri nemici" , cioè i tedeschi, nel mediterraneo riuscendo persino a traghettare e rifornire per due anni le loro panzerdivisionen in Africa, dopo di chè la cosa divenne ben più di un fastidio perchè con il loro puntello resistemmo e li tenemmo impegnati assai più che pochi mesi.

    E così per colpa nostra, anzi della nostra marina aggiungo io, crollò l'Impero e il "fardello dell'uomo bianco"... :;-):

    Io concordo, da quanto ho letto, che la resistenza dell'Italia per tre anni non era stata preventivata dagli inglesi, che pensavano di farci fuori in pochi mesi, così come il Duce pensava che i tedeschi avrebbero fatto prima fuori la Gran Bretagna in poche settimane... l punto debole di questa teoria è secondo me che senza Pearl Harbour chissà se gli americani si sarebbero trovati in guerra aperta contro Hitler e quindi chissà come sarebbe andata a finire in Europa.

    Ma questo è tutt'altro discorso...

    Edited by pilotadelladomenica - 16/1/2015, 12:01
     
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  15. zeno_
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    c'è davvero di che pensare nell'orto degli what if riguardo le eventuali conseguenze di un entrata in guerra nel 43 (come pare fosse concordato nel c.d. patto d'acciaio) invece che nel 39/40

    non forse diverso l'esito, ma la magnitudo della distruzione sarebbe stata più pesante
     
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89 replies since 10/11/2014, 22:15   8545 views
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