Pagine di Storia: Antica

Fino alla caduta dell'impero romano

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    Storia antica fino alla caduta dell'impero romano d'occidente.
     
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    Tempo fa avevamo scambiato qualche battuta sull'imperialismo degli antichi romani e sulla loro "combattività" sopratutto ai tempi della Repubblica. Ecco cito un brano interessante estratto da questo articolo http://poliremi.altervista.org/punici4.html
    CITAZIONE
    LE TRE FORME DI IMPERIALISMO E L’IMPERIALISMO “DIFENSIVO” ROMANO.

    Il Le Bohec e M.Kostial (citati) hanno esposto a proposito delle guerre puniche le moderne concezioni sull’imperialismo romano: non un imperialismo di dominio, di conquista e di arricchimento, né di puro militarismo, ma –anche nei periodi più tardi di conquista dell’Europa non solo mediterranea- “imperialismo della sicurezza”.
    YEAN LE BOHEC, Historie militaire des Guerres Puniques, Monaco 1996 (collana L’Art de la Guerre), parla di imperialismo economico, politico, strategico, ideologico; e considerando l’imperialismo di Roma durante le guerre puniche parla dei tre motivi chiave di ogni imperialismo (anche al di là dell’accezione moderna, propria del secolo XIX, che ha visto nascere il termine di imperialismo e lo ha fin troppo legato a quello di “colonialismo”): egemonia, lucro e sicurezza (distruggere un nemico potenziale prima d’esser distrutto). E’ interessante che Le Bohec usi tali considerazioni per le guerre puniche, che egli considera “uno dei maggiori conflitti nella storia dell’umanità” (cit., pag.9). MICHAELA KOSTIAL, Kriegerisches Rom?, Stuttgart 1995 (sulla normalità dei conflitti militari nella politica romana) svolge una dissertazione filosofica sui concetti di “guerra giusta”, di guerra come “ultima ratio”, di funzione sacrale dei feziali, di guerra di difesa e di aggressione, etc. Importante, per le guerre puniche, il fondamentale concetto romano di “difesa degli alleati” (pagg.73-78): si analizzano le “due più lunghe e pericolose guerre condotte dai Romani, le prime due guerre puniche” dal punto di vista dell’intervento romano verso i Mamertini (inizio della I punica) e verso Sagunto (inizio della II). Trattiamo in altra sede questi aspetti giuridici, peraltro ancora dibattuti e mai definitivamente risolti. Anche il Brizzi (cit., Wiesbaden 1982) sottolinea il concetto romano di “si vis pace para bellum” (se vuoi la pace prepara la guerra) come concetto cardine della guerra di Abschreckung, cioè dissuasione. W.V. HARRIS, War and Imperialismus in Republican Rome, Oxford 1979, evidenzia i tre valori fondamentali di VIRTUTES, LAUS e GLORIA come spinta per l’affermazione dell'aristocrazia romana in guerra (10 stipendia erano i prerequisiti per il cursus honorum, cioè per la decisiva carriera politica), che determinarono anche l'orientamento del popolo, decisivo nelle assemblee per la pace o la guerra, e definisce l'aspetto mercantilistico della politica estera romana.
    SEIBERT J. (FORSCHUNGEN ZU HANNIBAL, Darmstadt 1993 WISSENSCHAFTLICHE BUCHGESELLSCHAFT DARMSTADT, 2 voll.) della sua ricerca – approfonditissima a livello di fonti- su Annibale e la seconda guerra punica, discutendo a pag.329-331 se quella romana fu DEFENSIVPOLITIK ODER IMPERIALISMUS (con relativa BIBLIOGR. a pagg. 331-339). Pure se già il MOMMSEN (RG I 781-782) parlava di GUERRE DIFENSIVE., Seibert osserva che non compare mai né lì né allora o precedentemente il termine DEFENSIVER IMPERIALISMUS, bensì “iusta bella”. G.FERRERO, in “GRANDEZZA E DECADENZA DI ROMA, Torino 1904) usa per la prima volta il termine IMPERIALISMO per la storia romana. Inoltre l’EGEMONIA VERSO EST (verso la cultura ellenistica) sarebbe diversa dall’IMPERIALISMO VERSO OVEST (verso i barbari). Da un punto di vista terminologico, per LIEBERG G., DIE IDEOLOGIE DES IMPERIUM ROMANUM, 1975, sarebbe un controsenso, per ovii motivi, il concetto di DEFENSIVER IMPERIALISMUS., così come anche quello di HEGEMONIALE IMPERIALISMUS. E infatti anche in ALFOLDY (“KRISEN IN DER ANTIKE”) si parla solo di guerre difensive e non di imperialismo almeno fino al 168 a.C., con la conquista della Grecia.
    Noi, condividendo anche le tesi storiografiche sull’acume di Giulio Cesare nel ritardare, con la conquista della Gallia, l’invasione della stessa da parte delle popolazioni germaniche (prolungando quindi di tre secoli la resistenza a tali invasioni – cioè lo stesso impero romano- e rispettando le volontà delle popolazioni galliche che per prime avevano chiesto l’intervento di Cesare contro Elvezi e altri popoli confinanti) troviamo conferme che non riguardano solo le guerre puniche o le età auree della repubblica imperiale. Aveva già asserito il sociologo francese P. Veyne (Y a-t-il eu un impérialisme romain?, in Mélanges de l’Ecole Française de Rome, 87, 1975):
    <<si possono concepire tre situazioni. Anzitutto quella, a cui noi siamo abituati e che era anche quella del mondo greco ai tempi di Tucidide come pure di Polibio: una società di nazioni che si sono rassegnate a essere in molte, che si riconoscono simili, che hanno rinunciato ad assicurarsi una sicurezza definitiva per condividere tutte una comune insicurezza ... In un quadro come questo, se si diviene imperialisti sarà per desiderio di dominio; diciamo sarà per la gloria o ancora sarà, forse, per il profitto (imperialismo economico); o sarà infine per proselitismo religioso o ideologico: queste sono le varietà classiche di imperialismo. Una situazione ben diversa è quella di uno stato che non sia stato educato alla rassegnazione e che continui ad aspirare alla sicurezza totale; in questo caso non resta che indebolire e assorbire le altre nazioni in modo da restare i più forti ovvero da restare soli, avendo la sincera convinzione di non far altro che difendersi contro un mondo minaccioso. Si arriva allora alla la terza situazione, quella di una nazione che ha la fortuna di vivere separata da tutti, circondata da un oceano, da un deserto o da barbari che la isolino. Roma non ha mai conosciuto la prima situazione ed è passata dalla seconda alla terza con qualche spinta di imperialismo in senso classico come le guerre del 201-188 e la conquista della Gallia. Il bellicismo romano aveva gia creduto di poter raggiungere la sicurezza una volta per tutte facendo propria I’intera penisola italica [...|; poi la spinta propriamente imperialistica mescola Roma agli affari del resto dell’ecumene. Dopo Pidna, pressochè nessuno osa muoversi e Roma lascia vegetare Seleucidi e Lagidi: quando è la piu forte Roma tollera, a volte per secoli, l’esistenza di piccoli stati che le sarebbe stato facile assorbire; l’importante e che non costituiscano una minaccia; è la sicurezza che ella cerca, non l’egemonia di tipo tucidideo>>. (P.VEYNE, [La vita privata nell’impero romano, Milano 1994] Y a-t-il eu un impérialisme romain?, in Mélanges de l’Ecole Française de Rome, 87, 1975).
    Ancora più utile e interessante, secondo noi, è applicare questa teoria soprattutto alla fine della guerra più sanguinosa e rischiosa che Roma abbia condotto nella sua storia: la seconda guerra punica, che fu anche l’ultima in cui la pura difesa prevale, più che non in altre guerre, sugli interessi di imperialismo commerciale; ed è anche quella che prelude all’attacco delle (o alla difesa dalle?) potenze orientali ellenistiche, più solide finanziariamente e, fino ad allora, militarmente. Anche parole usate dal Moscati (Cartagine nella civiltà mediterranea, cit., p.19) indicherebbero implicazioni difensive verso Cartagine: " Di fronte a tale situazione, di fronte a tale accerchiamento strategico che ricorda il sistema delle basi militari in epoca a noi ben più vicina, Roma reagì con la guerra; e noi ne sapevamo già la conclusione. Ma ora ne sappiamo assai meglio le cause, ora ci rendiamo conto che i reiterati appelli di Catone in Senato indicavano davvero l'imminenza di una minaccia"
    E sentiamo, a ulteriore conferma, i passi del manuale di studio di S.AIROLDI-U.FABIETTI-A.MOROSETTI-P.PONTANI citato: <<un segno che il Mediterraneo orientale interessasse Roma solo nella prospettiva di una difesa del dominio in Occidente e della sicurezza dell’Italia è dato dal fatto che fino all’ultima ribellione macedone nessuna provincia fosse stata creata in Oriente. Solo quando il governo romano si rese conto che la zona non era pacificabile nè controllabile indirettamente e che Roma era in ogni caso sempre chiamata all’intervento, si decise ad assumersi il compito della dominazione diretta. Dopo il 167 a.C. la politica romana subì, quindi, una svolta e divenne più aggressiva e chiaramente orientata al dominio politico sull’Oriente: quasi tutti gli stati vinti furono ridotti in province. Lo stesso comportamento è riscontrabile nell’area occidentale. Come spiegare questo mutamento di atteggiamento? Certamente con il desiderio romano di chiudere un periodo di guerre ininterrotte che durava ormai dal 266 a.C. Ma soprattutto va detto che l’imperialismo romano da fatto eminentemente politico aveva ormai assunto chiare caratteristiche di sfruttamento economico. Infatti quando gli effetti dell’arricchimento derivanti dall’impero divennero evidenti, la volontà di consolidare il dominio e di ampliarlo divenne la linea principale della politica romana>>. (S.AIROLDI-U.FABIETTI-A.MOROSETTI-P.PONTANI, La civiltà romana dalle origini all’apogeo dell’impero, II, Milano 1997, p. 105)
    Le osservazioni del Gabba sulla ricorrenza, nella storiografia romana, delle lamentele a proposito della “corruzione”, corruzione casuata soprattutto dalle ricchezze delle nuove conquiste imperialistiche, andrebbero intese molto più a fondo (se non per il contrario) di ciò che esse parrebbero affermare: dimostrerebbero cioè – anche per il periodo storico relativamente “tardo” in cui invadono quella storiografia- che all’inizio la classe dirigente romana, nobiltà aristocratica e senatori innanzitutto, non videro nell’imperialismo un metodo di dominio e di arricchimento, bensì di rischio per gli equilibri politici interni e caso mai di rimedio estremo ed obbligato per le necessità di “sicurezza” dello Stato romano. Afferma il Gabba: <<colpiva soprattutto la rapidità con la quale ci si poteva arricchire; si vedeva bene come si venisse creando un tipo di ricchezza nuova e, per un certo tempo, meno stimata di quella tradizionale legata alla proprieta terriera e alle attivita dell’agricoltura. L’interferenza di questi fattori nella politica romana, nella stessa decisione politica ai piu alti livelli, non puo essere ignorata, anche se è vano attenderci dalle nostre fonti storiografiche delle testimonianze dirette ed esplicite. La teoria stessa della “corruzione”, che interviene così spesso e tipicamente nella storiografia antica, non fa che esprimere in termini moralistici la constatazione di un cambiamento nella società, del quale si vuole accentuare il distacco dagli assetti tradizionali. Il criterio utilitaristico, che naturalmente non era mai rimasto assente anche prima, veniva, dopo i primi decenni del II secolo, a dominare la valutazione e la decisione politica. Il processo espansionistico diveniva così sempre più una spinta autonoma e inevitabile, che si autoalimentava, anche nella mentalità oramai di routine della classe dirigente senatoriale>>. (E.GABBA, Storia di Roma II, Torino 1990, -L’imperialismo romano).
    Vedere nell’imperialismo romano puramente “difensivo” o “della sicurezza” uno dei motivi di attrito tra governo (e oligarchia) senatoriale – rafforzatosi con gli esiti della II guerra punica- e classi di plebei più ricchi intesi sia come nobiltà patrizio-plebea che come ceti imprenditoriali, di commercianti e di appaltatori (cavalieri e publicani), ci porterà al capitolo sui partiti politici al tempo di Scipione Africano. E ci porterà anche a considerazioni sul “partito della pace” a Roma e a Cartagine e alla domanda dell’Aprea sul perché la guerra annibalica – la più sanguinosa mai sopportata dai Romani- non abbia visto la distruzione di Cartagine, mentre Numanzia e Corinto ebbero ben altro destino. Ci porterà infine a discutere di come il metus (terrore) gallicus e quello punicus (cioè il terrore verso i Galli fin dal tempo di Brenno e quello verso “Hannibal ad portas”) abbia forse alimentato questo continuo desiderio romano di “sicurezza” ben oltre Caio Mario e Giulio Cesare.
    Inoltre, a conferma di un imperialismo non “militare” (o non puramente militare) dei Romani, ma piuttosto su un uso migliore del potere militare che si trasformava in potere politico (quello che in termine più generico e con diverse accezioni di derivazione “prussiana” noi definiamo <<democrazia militare>>), sono illuminanti le considerazione di C.N.Lutwak, che tra poco riporteremo, sulla cautela politica e sul risparmio delle vite dei “cittadini romani” da parte dei generali (consoli, pretori, dittatori, ecc.) della Repubblica e dell’Impero. Ci sovvengono non solo le cautele di Quinto Fabio Massimo soprannominato il Temporeggiatore (Cunctator), che vinse così, indirettamente, Annibale o l’acume politico delle “alleanze” anche extra-italiche dei governanti e comandanti romani, ma anche il complesso sistema giuridico civile e militare che governava i Romani anche nei confronti del “cittadino-” e “contadino-“ soldato. Il Lutwak (La grande strategia dell’impero romano, Milano 1981), dopo aver sottolineato il metodo di comando militare (oltre che di governo politico) delle classi dirigenti romane, che era basato su una lunga tradizione collegiale di preparazione a un metodo organizzativo rigoroso e scientifico non affidato “a dei talenti sporadici”, osserva: <<la superiorità dell'impero era di un tipo molto più raffinato: derivava dall'insieme delle idee e delle tradizioni che formavano l'organizzazione del potere militare romano, e sapeva sfruttare quest’ultimo a scopi politici. La salda subordinazione delle priorità tattiche, degli ideali marziali e degli istituti ai propositi politici costituisce la chiave del successo della strategia imperiale. Salvo rare eccezioni, coloro che controllavano il destino di Roma erano soliti evitare l'uso della forza a scopi puramente tattici. [...] Dopo avere imparato all'inizio della repubblica come sconfiggere in battaglia i popoli vicini con la semplice forza tattica, dopo avere in seguito imparato a superare le difficoltà strategiche di una guerra su larga scala combattendo contro i Cartaginesi, alla fine i Romani compresero che il migliore uso del potere militare, non era affatto militare, ma politico, e infatti conquistarono l'intero mondo ellenistico con poche battaglie e molta diplomazia coercitiva. La stessa tendenza a tenere in serbo le forze si manifestava anche in guerra, a livello tattico. Il comandante romano ideale non era una figura di tipo eroico, che guidava le sue truppe alla carica verso la vittoria o la morte, bensì un capo che avanzava in marcia lenta e accuratamente preparata, che costruiva dietro di sé delle strade di approvvigionamento e allestiva ogni notte accampamenti fortificati per evitare gli imprevedibili rischi di una manovra rapida: preferiva lasciare che il nemico si ritirasse in posizioni fortificate, piuttosto che affrontare le inevitabili perdite della battaglia in campo aperto ed era solito aspettare la resa del nemico per fame durante un assedio prolungato, piuttosto che rischiare forti danni prendendo d’assalto le fortificazioni. Superando Io spirito di una cultura ancora impregnata degli ideali marziali dei Greci (il temerario Alessandro Magno era infatti oggetto ai venerazione in molte famiglie romane), i grandi comandanti romani erano famosi per la loro cautela. Proprio questo aspetto della tattica dei Romani (oltre al grande affidamento sulla guerra "di costruzione") spiega l' eccezionale capacità degli eserciti romani in marcia, così come la loro caratteristica resistenza nelle avversità: i Romani arrivavano lentamente alla vittoria, ma erano difficili da sconfiggere>>. (C N. LUTWAK, la grande strategia dell'impero romano, Rizzoli, Milano 1981 )

    Il sito, dedicato alla storia romana ai tempi della II guerra punica, contiene ore ed ore di informazioni tutte da leggere. :-):
     
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    tanto per far il bastian contrario...perchè fino alla caduta dell'impero d'occidente? E la riscossa giustinianea la vogliamo chiamare medioevale?
    Già ai miei tempi i libri di storia del liceo finivano con la morte di Giustiniano la trattazione della storia antica. Ancora cinquanta anni dopo la caduta di Romolo Augusto i senatori romani andavano alle terme di Diocleziano a trattare i loro affari tra un calidarium e un frigidarium. oppure all'anfiteatro Flavio a godersi le venationes dalle loro panche riservate...
     
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  4. romano_fd
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    È chiaramente una convenzione.

    D'altra parte, ed ex post, fece più risalto agli occhi dei moderni il momento della deposizione di Romolo Augustolo che la scomparsa di Giustiniano.

    Perché la parte orientale parlava greco ed era anche etnicamente greca, non latina, oltre agli altri popoli del bacino orientale.

    Perché la parte orientale era già in pratica separata religiosamente e perché per quel che conta Roma stava dall'altra parte.

    Tant'è che si è affermato il concetto di traslatio imperii.

    Ma sempre di convenzione.

    Ai contemporanei dei fatti non apparve nessuna cesura. Deposto Romolo Augustolo, non glie ne frego' niente a nessuno tranne il diretto interessato e relativi familiari.

    Nessuno si alzò il mattino dopo sentendosi improvvisamente nel medioevo e dicendosi "oddio, è finita l'epoca classica!".
     
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    CITAZIONE (romano_fd @ 13/3/2015, 20:33) 
    Ai contemporanei dei fatti non apparve nessuna cesura. Deposto Romolo Augustolo, non glie ne frego' niente a nessuno tranne il diretto interessato e relativi familiari.

    Nessuno si alzò il mattino dopo sentendosi improvvisamente nel medioevo e dicendosi "oddio, è finita l'epoca classica!".

    mentre i poveri romani o milanesi sopravvisuti ai sacchi e alle stragi dei goti di Vitige e Totila sicuramente non si sentirono molto "classici"!

    Contro la data convenzionale del 476 vale pure il fatto che quell'anno fu deposto Romolo Augusto ma non solo non fu percepita dai contemporanei come la fine dell'Impero Romano D'Occidente ma non lo fu proprio visto che in Dalmazia sopravvisse altri quattro anni sotto l'imperatore Nepote.
     
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    Nessuno si alzò il mattino dopo sentendosi improvvisamente nel medioevo e dicendosi "oddio, è finita l'epoca classica!".

    E' ben chiaro che la scelta di certe date come "cesura" tra un'epoca e la successiva sia del tutto convenzionale e arbitraria, e anzi il concetto stesso di epoche distinte è convenzionale e arbitrario. E' però anche vero che ci sono stati sul serio dei momenti, che è difficile non vedere come sospesi tra la fine di qualcosa e e l'inizio di qualcosa d'altro. E sopratutto, sì, ci sono stati degli spiriti in grado di cogliere quei momenti, e di capirne il significato. L'esempio più famoso è la frase che Goethe pronunciò (vabbé, scrisse di aver pronunciato) la sera della battaglia di Valmy: "da qui e da oggi, comincia una nuova epoca nella storia del mondo".
     
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    Suppergiù negli anni che videro la deposizione di Romolo Augusto - nome alquanto pesante, da portare - Rutilio Namaziano componeva i famosi versi:

    Fecisti patriam diversis gentibus unam;
    profuit iniustis te dominante capi;
    dumque offers victis proprii consortia iuris,
    Urbem fecisti, quod prius orbis erat.


    che molto avevano dell'elegia funebre.

    Un saluto.
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    si, quello di Numaziano è proprio un epitaffio, e in effetti la Roma pagana era scomparsa, eppure l'impero d'occidente sopravvisse a Numaziano circa mezzo secolo e in buona parte del suo territorio, per non parlare di quello d'oriente, la civiltà classica, seppure cristianizzata, durò un altro secolo almeno.
     
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  9. Comneno
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    Sicuramente il nome di "Romolo" come ultimo imperatore è altamente seducente per gli storici, anche se in realtà questo Romolo:
    a) era un imperatore "fittizio", in quanto adolescente (l'uomo forte del momento, sostanzialmente un avventuriero, era il padre Oreste)
    b) era un usurpatore (perché l'imperatore legittimo, come si è già detto, era Giulio Nepote).
    Se vogliamo agganciare la fine dell'età classica alla figura di un "ultimo imperatore d'occidente" dovremmo allora dire "480", anno in cui Giulio Nepote fu assassinato ed in cui gli ultimi territori dello Stato furono occupati da Odoacre (Illiria) e Clodoveo (ultima porzione romana della Gallia).

    Se invece la chiave del discorso vuole essere Odoacre, ossia il capo germanico che sottomette i latini, allora si può fare un discorso più articolato, perché non si trattava di un caso del tutto nuovo. Qual era, ad esempio, la differenza tra Odoacre, e Gundobado, Ricimero, Stilicone? Sul lato pratico, nessuna. Sul lato formale, gli altri due erano al servizio di un imperatore. Ma qui è un punto interessante. Tutti gli Imperatori d'Occidente, a partire da Onorio, furono in sostanza degli imperatori "fantoccio", come saranno poi gli ultimi re merovingi e come saranno gli imperatori nipponici durante lo shogunato.
    Insomma, le istituzioni dell'Impero Romano d'Occidente, seppure eredi di quelle latine, sono già una cosa diversa, una cosa ibrida e decisamente "medievale". Certo, a Roma c'era ancora lo storico Senato, ma Roma ormai non era più la stessa cosa. Non era più una capitale di nulla, non aveva più il suo Palladio (portato a Costantinopoli quando la città fu ri-fondata) non aveva più le sue vestali (sgominate da Teodosio). La Roma che saccheggiò Alarico nel 410 forse era già la "Seconda Roma" della concezione mazziniana, non più la "prima".
    Da questo punto di vista, potremmo dire che a prescindere dalla data di "fine" dell'Impero ed alla sua eredità culturale, il Medioevo, con la sua concezione politica, sociale, militare... comincia decisamente prima del 476.
     
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    Ricordate le discussioni di alcuni mesi fa sulla ricostruzione dell'arena del Colosseo? Qualcosa si è mosso nel frattempo: è stato ricostruito uno dei montacarichi che venivano utilizzati per far salire gli animali. Secondo l'articolo al massimo del suo splendore l'arena aveva 60 ascensori e 20 piani inclinati (a dire il vero mi sembrano un po' troppi). Comunque il fatto è che: 1) finalmente si è fatta un po' di archeologia sperimentale anche in questo paese, ricostruendo con materiali e techiche dell'epoca e 2) è stato prodotto un documentario che mostra l'evoluzione dei lavori. Entrambe le cose le auspicavo affermando che abbiamo possibilità uniche che non sfruttiamo mai e ora qualcuno nelle varie sovrintendenze si è svegliato, anche se la cosa è stata resa possibile solo perché la Providence Pictures si è offerta di finanziare il progetto proprio per girare il documentario e quindi ancora una volta mi toccherà vedere la storia italiana trattata dagli americani che di solito sono il non plus ultra della superficialità. Speriamo bene.
    Inoltre è stato definitivamente stabilito che l'arena verrà interamente ricostruita entro 5 anni.

    http://www.adnkronos.com/cultura/2015/06/0...FpW30LAg9M.html
     
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    CITAZIONE (Comneno @ 14/3/2015, 11:17) 
    ...insomma, le istituzioni dell'Impero Romano d'Occidente, seppure eredi di quelle latine, sono già una cosa diversa, una cosa ibrida e decisamente "medievale". Certo, a Roma c'era ancora lo storico Senato, ma Roma ormai non era più la stessa cosa. Non era più una capitale di nulla, non aveva più il suo Palladio (portato a Costantinopoli quando la città fu ri-fondata) non aveva più le sue vestali (sgominate da Teodosio). La Roma che saccheggiò Alarico nel 410 forse era già la "Seconda Roma" della concezione mazziniana, non più la "prima".
    Da questo punto di vista, potremmo dire che a prescindere dalla data di "fine" dell'Impero ed alla sua eredità culturale, il Medioevo, con la sua concezione politica, sociale, militare... comincia decisamente prima del 476.

    messa così la data giusta sarebbe il 330, anno ufficiale dello spostamento della capitale a Costantino.

    ma sinceramente non mi convince troppo, il mondo romano nel 331 non era cambiato molto rispetto al 329, e nemmeno Roma, Palladio o non Palladio. Ammesso che sia stato veramente spostato da Roma, ci sono anche altre tradizioni.

    E Roma tornò pure capitale a tutti gli effetti, verso la fine dell'impero d'occidente.

    No, c'è un motivo per cui si è affermato il 476... e il 1453 per la Pars Orientis

    La realtà è che la fine di Roma fu un processo quanto mai graduale, come ho scritto tempo fa qualcuno sostenne che fu un processo che si concluse solo... il XX settembre 1870!

     
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  12. dott.Piergiorgio
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    su che basi si scrive che il XX Settembre 1870 sarebbe la fine del Primo Impero ? dal pdv Romano, il Pontificato Massimo venne spogliato (temporeaneamente) degli oneri temporali, ma l' Istituizione è rimasta, inclusa la perogativa che conta: conferire la Dignità e l' Auctoritas Imperiale... che a quanto ne so niente vieta di conferire a un corpo politico puttosto che a un Monarca.

    il Secondo Impero di cui si fregiano i germani venne costituito, il 25 Dicembre 800 (o 799) a partire da questa perogativa (tecnicamente e legalmente, però si trattava della Pars Occidentalis del Primo Impero) e duro' 1005 anni, fino al 6 Agosto 1806.

    Saluti,
    dott. Piergiorgio.
     
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    su quali basi? l'ho già scritto da qualche altra parte ma la cosa mi ha colpito e ogni tanto la ripeto perchè fa sempre effetto...

    non mi ricordo più quale storico sostenne che c'era continuità statuale tra lo stato pontificio e l'esarcato bizantino, quindi tra lo stato di cui Pio IX era sovrano e l'impero romano...

    ma le vecchie mura aureliane non protessero l'ultima vestigia dell'impero romano, quello vero, mica quello tedesco, così come non lo avevano protetto mille trecento anni prima.

    Ma a proposito di quei tempi lontani, ho una forte curiosità che mi costringe a riferirmi ad un altro forista, spero che i moderatori lo consentano...

    l'avatar del Sig de Witte cosa rappresenta mai e da dove viene?

    Sembra una carta dell'impero romano d'occidente nel 460, ma non mi torna in diversi particolari...
     
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  14. Relop
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    Me l'ero chiesto anch'io ..
     
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    trovata!

    https://it.wikipedia.org/wiki/Impero_bizan...pire_460_AD.png

    graficamente interessante ma la Sicilia e la Sardegna non erano già vandale?

    E il Norico di San Severino non era ancora romano?
     
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639 replies since 2/3/2015, 16:36   45777 views
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