La centralità del controllo del mare

« Older   Newer »
 
  Share  
.
  1.     +2   Like  
     
    .
    Avatar

    Advanced Member

    Group
    Moderatore
    Posts
    2,873
    STU
    +1,497

    Status
    Offline

    La centralità del controllo del mare
    (di Musamava)

    Il potere marittimo consiste, in estrema sintesi, nella capacità di uno Stato di utilizzare il mare a proprio piacimento per i propri interessi, impedendo nel contempo agli avversari di fare altrettanto. Un discorso valido, pur con delle differenze, sia in pace che in guerra, che si tratti di comunicazioni marittime, di sfruttamento della colonna d’acqua, del fondo o del sottosuolo marino, che si tratti invece di influenzare quanto avviene in terraferma tramite le varie forme di proiezione di potere militare oppure di diplomazia navale.
    Questo obiettivo si raggiunge attraverso il conseguimento, ad opera del potere navale, del comando del mare (idealmente un vasto e generalizzato dominio del mare, nella realtà un controllo, limitato nel tempo e nello spazio, di sue porzioni), prerequisito indispensabile per poter passare ad un accettabilmente sicuro uso delle acque per gli obiettivi ulteriori.



    Con il disfacimento del Patto di Varsavia e il crollo dell’Unione Sovietica, blocco di potere continentale che era stato in grado di sfidare il comando del mare delle potenze marittime occidentali, queste si sono trovate ad essere incontrastate padrone delle aree pelagiche, non rimanendo alcun avversario che potesse insidiarle in quell’ambiente.
    In tale insolito quadro di dominio delle acque gli Stati occidentali (e quindi anche l’Italia) si sono potuti concentrare sull’esercizio del controllo del mare, in primo luogo verso terra, ovvero nelle sue forme di proiezione di potenza militare (aeronavale, missilistica, anfibia, logistica) e “civile” (embargo, sicurezza marittima, diplomazia navale, ecc.).

    Ora però la situazione sta cambiando e il comando dei mari si avvia ad essere nuovamente conteso. Infatti dopo circa venticinque anni, la fase storica dei “dividendi della pace” post Guerra Fredda (uno degli aspetti della cosiddetta globalizzazione) sta volgendo al termine, sostituita da una nuova epoca di confronto tra Stati e gruppi di Stati per il predominio economico e quindi geopolitico.
    Questo perché nell’ultimo quarto di secolo dominato dalle dinamiche sopra sintetizzate sono andati sorgendo, sviluppandosi o consolidandosi, a seconda dei casi, centri di potere estranei all’Occidente, diventati ormai sufficientemente forti da sfidare le potenze marittime anche sul mare, ambiente che suscita il loro interesse. Il caso più evidente è quello della Cina, antico impero la cui lunga marcia di rinascita l’ha ormai portato (complice l’Occidente stesso) a poter competere con gli Stati Uniti d’America per il predominio globale. Ma un poco ovunque si assiste ad un potenziamento della capacità degli Stati di operare sul mare: si va dalla vera e propria gara navale in corso nel Sud-Est asiatico tra Cina, Giappone e Corea del Sud agli sforzi (per la verità non nuovi) dell’India, proseguendo con quelli di Stati come il Pakistan o le monarchie arabe per giungere, molto vicino a noi, al potenziamento navale di Egitto, Algeria e Turchia.
    E’ vero che per molti dei suddetti Stati si tratta della creazione di un potere navale esercitabile in aree ancora abbastanza ristrette (ma comunque atto, se non proprio al comando, quanto meno alla negazione del mare), tuttavia la tendenza globale si mostra chiara, così come la conseguente crescente minaccia al potere marittimo occidentale, in generale, e italiano in particolare.

    1924993_261177997384436_299793672_n_1_

    Tutto ciò consiglia di non continuare a considerare il controllo dei mari come garantito in partenza e semplicemente da esercitare, ma di tornare a valutarlo per ciò che è, ovvero l’indispensabile prerequisito da assicurare prima di ogni operazione ulteriore, stabilendo poi nella concretezza dei singoli casi, chiaramente, le azioni necessarie.
    Per l’Italia non si tratterebbe di tornare ai tempi della Guerra Fredda, quando il nostro impegno sul mare (anche per motivi storici e strategici che esulano dall’argomento di questo scritto) era volto primariamente alla protezione delle linee di traffico ed in concorso con altri al conseguimento e alla difesa del comando delle acque, quanto invece di impiegare compiutamente il potere marittimo; garantendo e sostenendo così anche le capacità di controllo dal mare acquisite negli ultimi venticinque anni, per poter continuare a esercitarle liberamente.

    Inoltre il riemergere dell’aspetto più caratterizzante del potere marittimo richiederebbe una rinnovata attenzione da parte del pensiero navale, rimasto concentrato per alcuni lustri sulle istanze della sicurezza marittima. Infatti ragionando non più solo di esercizio del controllo delle acque, ma nuovamente anche di sicurezza del controllo, non si può che tornare a occuparsi delle diverse modalità con cui garantire tale sicurezza, delle forze navali da destinarvi e così via.
    Insomma si direbbe giunto il momento di analizzare complessivamente la teoria del potere marittimo, con i suoi principi immutati da diversi secoli, in relazione alla situazione italiana contemporanea, per prepararci per tempo e al meglio ad un’epoca di rinnovate sfide sui mari.

    Per una potenza marittima con interessi globali ed una assoluta dipendenza dall’uso del mare quale è l’Italia, è indispensabile potersi tutelare (e affermare) sul mare e sulla terra oltremare.

    Foto: Marina Militare.

    Per eventuali commenti e considerazioni in merito a questo approfondimento, si invitano gli utenti ad impiegare la nuova discussione intitolata Potere marittimo.

    Edited by Badman - 19/1/2020, 22:03
     
    .
0 replies since 19/1/2020, 20:57   3160 views
  Share  
.